Note & Interventi

Audizione al Senato, il testo della relazione dell’AND

Roma, 27 maggio 2015, Senato, Audizioni Uffici di Presidenza Congiunti

Pubblichiamo il testo della relazione dell’AND sul DDL 1934 tenuta presso il Senato della Repubblica lo scorso 27 Maggio 2015 di fronte agli uffici di presidenza congiunti di Senato e Camera.


MERCOLEDI’ 27 MAGGIO

UFFICI DI PRESIDENZA CONGIUNTI

7ª COMMISSIONE (Istruzione) SENATO VII COMMISSIONE (Istruzione) CAMERA DEI DEPUTATI

 

Audizione Prof. Francesco Greco*

Nei pochi minuti dedicati a queste audizioni, i nodi cruciali del progetto di legge si possono solo sillabare. Per cui, ci limitiamo ad esporre alcune brevi considerazioni che si sono cristallizzate in questi lunghi giorni di sofferenza del mondo della scuola seguiti alla presentazione del progetto di legge, avvenuta com’è noto esattamente due mesi addietro, il 27 marzo 2015.

Mentre rinviamo l’esame approfondito ad un documento che faremo pervenire, anche a seguito dell’iniziativa che terremo nella giornata di domani, qui a Roma, in una saletta del Senato, sull’esame tecnico giuridico del progetto di legge. 

 

1^ Considerazione

Crediamo che la nostra scuola viva oggi il momento più delicato della sua storia di scuola della Repubblica Italiana. La scuola quale componente integrante di un sistema di valori, definito nella Carta Costituzionale, è stata individuata, quale bersaglio strategico di una vasta azione di destrutturazione del nostro modello di società che, ancora almeno a livello normativo, interpreta e afferma principi imprescindibili di uno Stato democratico.

Le modifiche che questo progetto di legge intende introdurre nel nostro ordinamento scolastico non sono dettate da ragioni finanziarie, né da ragioni pedagogiche di miglioramento della didattica e dei risultati di apprendimento. Queste ultime finalità sono solo affastellate nei tre commi omnicomprensivi dell’art. 1 del disegno di legge che però non trovano alcuna coerente declinazione attuativa negli articoli successivi, nei quali, invece, prevale la regolamentazione di aspetti organizzatori che rovesciano l’attuale modello partecipativo di scuola trasformandola, sostanzialmente, in una organizzazione monocratica imperniata sulla figura assorbente del dirigente scolastico, unica depositaria, formalmente e sostanzialmente, di poteri reali, tanto forti da incidere sull’effettivo esercizio di libertà fondamentali garantite dalla Costituzione, come la libertà di insegnamento.

Le ragioni vere, a nostro giudizio, che sono alla base della proposta legislativa e che sono chiaramente evincibili dal testo originario del progetto di legge, hanno come fine quello di condurre la scuola nell’alveo di un sistema di condizionamento riconducibile al potere politico, come già è stato fatto per altri settori della pubblica amministrazione. Con ciò coscientemente omettendo di considerare che la scuola presenta peculiarità tali che ogni intervento in questa direzione non potrà che avere effetti deleteri e disastrosi sull’intera società, ancor più gravi di quelli che hanno interessato la sanità e altri servizi. Gli effetti sulla scuola potrebbero, infatti, essere irreversibili o comunque protrarsi per molti anni, poiché si allaccerebbero a catena a tutto il sistema delle libertà e delle garanzie che connotano il nostro sistema democratico e, dunque, anche al modo di sentire e di agire come cittadini di uno stato di diritto.

Neanche con il Regio decreto n. 1051, del 1934, quando presidente del Consiglio era Benito Mussolini, ci si era spinto a tanto. In quel Regio decreto, ad esempio, la possibilità di chiamata diretta del preside era limitata solo ai docenti supplenti. Una possibilità che all’epoca era anche comprensibile vista la penuria di persone in possesso di titoli di studio adeguati per poter insegnare, mentre i docenti di ruolo venivano reclutati per concorso. Il ministro dell’istruzione nominava direttamente i presidi e con ciò la politica attraverso il capo di istituto affermava la sua egemonia sull’istituzione scolastica, ma non direttamente sui docenti, come invece questo progetto di legge intende fare. Non si capirebbe altrimenti come mai di fronte, a quella che rischia di essere la più grave lacerazione tra politica e società civile, il Governo non apra ad un confronto vero e reale, ritirando un progetto di legge respinto globalmente dal mondo della scuola, compresa la stragrande maggioranza di quelli che si vorrebbe fare apparire come i reali beneficiari delle disposizioni in esse contenute, i dirigenti scolastici e i docenti precari.

I dirigenti, con gli abnormi poteri che ad essi vengono conferiti, ben capiscono di essere divenuti il capro espiatorio di una riforma che ha ben altri scopi, certo non quelli di introdurre diversi principi di efficienza e di efficacia. Cosi i docenti precari sono ben consapevoli, pur nella disperazione di anni di precariato, che la loro supposta stabilizzazione corrisponderebbe alla precarizzazione dell’intero sistema.

 

2^ Considerazione

Riteniamo che le modifiche introdotte nel testo approvato dalla Camera non abbiano modificato l’impostazione complessiva e sostanziale del progetto di legge. D’altronde, gli stessi rappresentanti del Governo pur dichiarando la loro disponibilità all’ascolto, hanno contestualmente affermato e praticato la netta chiusura ad ogni possibilità di modifica dell’impianto generale del progetto di legge. Così, a parte alcune correzioni, che in molti casi hanno evidenziato una scarsa conoscenza delle questioni scolastiche, il testo conserva tutte le criticità che già abbiamo fatto rilevare nell’audizione del 7 aprile alla Camera, alla quale rimandiamo per le questioni in essa trattate.

In questa sede, vogliamo far rilevare come anche la stessa questione degli ambiti territoriali ben doveva trovare un altro tipo di impostazione. Non si può definire l’organizzazione scolastica sul territorio partendo dagli organici, ma va prima definita quale debba essere l’offerta formativa, poi definiti gli organici e poi l’organizzazione di questi. In un documento, fatto pervenire al ministro dell’Istruzione e al presidente del Consiglio, nel giugno dello scorso anno scrivevamo “I piani di dimensionamento della rete scolastica, così come previsti dal D.P.R. 233/1998, sono finalizzati a discriminare le istituzioni scolastiche in relazione alle dimensioni dei singoli istituti (numero di alunni) senza tener conto che in ambiti territoriali assai ristretti possano esserci istituti della stessa tipologia. Ciò, spesso, ha dato luogo a duplicazioni di corsi di studio con sottoutilizzo delle risorse e senza alcun reale vantaggio per l’utenza scolastica, ma anche instabilità degli organici e discontinuità nell’attività didattica, per il continuo avvicendamento dei docenti.  Si tratta, allora, di definire degli ambiti organizzativi dell’offerta formativa a livello sub provinciale, in cui siano garantiti un’offerta articolata e univoca dei diversi percorsi di studio e un organico funzionale stabilizzato del personale docente che consenta in modo flessibile di assorbire esuberi e carenze, senza effetti, nel medio periodo, sulla mobilità esterna. Ciò renderebbe inutile il ruolo attualmente svolto dagli ex provveditorati, le cui funzioni – sostanzialmente la gestione degli organici – andrebbero svolte da un organismo territoriale di coordinamento delle autonomie scolastiche. Non si tratterebbe di costituire nuove strutture burocratiche, ma organismi rappresentativi delle autonomie scolastiche dotate di una struttura minimale per il supporto tecnico delle stesse. Tanto dicasi per gli Uffici Scolastici Regionali che potrebbero essere soppressi e le loro funzioni in parte ritornare a livello centrale e in parte trasferite ai nuovi organismi territoriali di coordinamento delle autonomie scolastiche.

A questo documento allegavamo una scheda finanziaria che dimostrava come l’intera proposta poteva essere realizzata attraverso una più efficace e qualificata distribuzione delle risorse, che addirittura avrebbe consentito di realizzare delle economie di spesa da utilizzare per dare ai docenti una carriera professionale, così come raccomandato dal Consiglio dell’Unione Europea sul programma nazionale di riforma 2014 dell’Italia.

Nel progetto di legge presentato dal Governo sono previsti gli ambiti territoriali, già albi nel disegno di legge originario, e reti di scuole che, in sostanza, eliminerebbero ruolo e funzioni degli ex Provveditorati. Ma la logica implicita nella costituzione degli ambiti territoriali previsti dal progetto di legge non è quella di una migliore organizzazione dell’offerta formativa sul territorio, così come logica e buon senso avrebbero richiesto, bensì quella di costituire dei “parchi buoi” da dove i dirigenti scolastici possano, con ampia discrezionalità, attingere i docenti necessari per l’organico dell’autonomia.

Una scelta legislativa incomprensibile se non alla luce delle considerazioni già svolte prima, ma anche assai discutibile dal punto di vista giuridico, dato che sarebbe in palese contrasto con gli artt. 33 e 97 della Costituzione. Una scelta che produrrebbe effetti deleteri sui docenti, sulla loro condizione personale e lavorativa e sulle prospettive professionali. Il loro ruolo e la loro funzione verrebbero ad essere mortificati oltre ogni ragionevole sopportazione. Da soggetti centrali della scuola, poiché senza docenti non ci può essere alcun processo di insegnamento-apprendimento, vengono trasformati in una mera categoria residuale, senza più alcuna certezza lavorativa e, men che meno, senza più quella libertà culturale e professionale che rappresentano la vera natura del loro lavoro.

 

3^ Considerazione

In merito alla questione del precariato, riteniamo che quanto proposto non solo non risolva il problema, ma creerà nuovi problemi, forieri di nuovi contenziosi giudiziari.

“I precari – come abbiamo già detto nell’audizione del 7 aprile – entreranno «nudi» nei cosiddetti «ambiti» e potranno, in ogni tempo, dopo un’infruttuosa messa in disponibilità, uscirne «spogliati», se non cacciati dalla stessa scuola e senza più alcuna possibilità di potervi fare ritorno. In modo non dissimile toccherà agli attuali docenti cosiddetti «di ruolo». Anch’essi saranno ogni tre anni, ed in ogni momento, sottoposti al volere di novelli satrapi a cui questo Governo vuole affidare il loro futuro professionale e lavorativo e la vita e il destino della scuola italiana”.

Non si può risolvere il problema del precariato eliminando i precari. È necessario programmare scelte capaci di prospettare soluzioni eque a tutti coloro che hanno acquisito titoli abilitativi e servizi che, in funzione della legislazione vigente, legittimamente consentano di  aspirare ad un ingresso lavorativo stabile nella scuola. In questo campo, particolarmente delicato, le regole si cambiano per il futuro e non calpestando aspettative e negando diritti legittimamente acquisiti.

Auspichiamo che il Progetto di Legge venga ritirato dal Governo e che si proceda per la stabilizzazione dei precari con un decreto legge, anche in considerazione della necessità di garantire la realizzazione del piano di assunzioni per l’inizio dell’anno scolastico. In subordine, che il Senato modifichi profondamente il testo proposto.

Ancor di più, auspichiamo che il Senato, prima che il Governo scriva sul portone di Palazzo Madama l’epitaffio di quella che fu la sua funzione legislativa, ritrovi le ragioni della sua missione e si faccia proponente di un testo alternativo che corrisponda alle reali esigenze della scuola italiana, che sono poi quelle del nostro Paese.

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* La relazione del prof. Francesco Greco è stata letta nel corso dell’audizione dalla collega Valeria Bruccola

 

 

 

 

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