Due note del Ministero dell’Istruzione, a distanza di un anno l’una dall’altra, chiariscono i vari aspetti del problema del pagamento dei contributi delle famiglie alle istituzioni scolastiche, ma non lo risolvono.
Contributi volontari o prelievo coatto? sembra questo il dubbio che il ministero dell’Istruzione con due distinte circolari ha cercato di dipanare pur senza, a nostro avviso, esserci riuscito del tutto. Infatti con due note, prot. n. 312 del 20 marzo 2012 “Indicazioni in merito all’utilizzo dei contributi scolastici alle famiglie” e prot. n. 593 del 07/03/2013 “Richiesta di contributi scolastici alle famiglie”, il Capo Dipartimento Lucrezia Stellacci ha ribadito il concetto che le somme richieste alle famiglie dalle scuole statali ad ogni inizio di anno scolastico non potevano che avere carattere di contributo volontario e come unica finalità quella del miglioramento dell’Offerta Formativa. Ad un anno di distanza dalla prima circolare il Ministero denuncia il perdurare di tale pratica alla luce delle “numerose segnalazioni di irregolarità ed abusi nella richiesta di contributi scolastici”, divenute ancora più pressanti in concomitanza con il periodo delle iscrizioni, “al punto che persino una nota trasmissione televisiva ha messo in onda un servizio in cui si denuncia la prassi di alcune istituzioni scolastiche di considerare come obbligatori i contributi deliberati dal consiglio d’istituto e di pretenderne il versamento all’atto dell’iscrizione”.
Situazioni decisamente stigmatizzate come vere e proprie “lesioni al diritto allo studio costituzionalmente garantito”, come principio dell’obbligatorietà e gratuità previsto dall’art. 34 della Costituzione, che l’attuale normativa ha esteso fino ai primi tre anni di istruzione secondaria di secondo grado. Viene, quindi smentita qualsiasi ipotesi di presunto riconoscimento di capacità impositiva a favore delle istituzioni scolastiche che legittimi la pretesa di un versamento obbligatorio di tali contributi, da intendersi invece esclusivamente di natura volontaria da parte delle famiglie. In caso contrario verrebbe leso anche l’art. 23 della Costituzione che recita espressamente che “nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”.
Alla luce di quanto sopra risulta assolutamente ingiustificato, illegittimo e lesivo del diritto allo studio qualsiasi tentativo di discriminazione sia in termini di valutazione che di natura disciplinare. Pur riconoscendo nel contributo delle famiglie una “fonte essenziale per assicurare un’offerta formativa che miri a raggiungere livelli qualitativi sempre più elevati, soprattutto in considerazione delle ben note riduzioni della spesa pubblica che hanno caratterizzato gli ultimi anni”, il Dipartimento dell’Istruzione sembra far leva sul buon senso nel momento in cui “ritiene auspicabile che le scuole acquisiscano tale contributo non attraverso comportamenti vessatori e poco trasparenti, bensì facendo leva sullo spirito di collaborazione e di partecipazione delle famiglie”, vista l’estrema necessità di risorse aggiuntive per migliorare la qualità dell’offerta formativa.
Nonostante i toni soft della reprimenda, non sfugge a nessuno comunque il diffondersi di pratiche grossolanamente incostituzionali e illegittime nei confronti delle famiglie, arrivando a casi estremi di comportamenti intimidatori e a metodi ricattatori. Situazioni che vanno sicuramente stigmatizzate e sono da bandire dal mondo della scuola, facendo in modo che le famiglie e gli studenti pretendano trasparenza nella gestione e rispetto della legge; tuttavia resta il fatto innegabile che le politiche scellerate degli ultimi decenni di tagli indiscriminati ai fondi già esigui destinati all’Istruzione, con il pretesto della razionalizzazione e della lotta agli sprechi, hanno prodotto questa situazione di progressivo imbarbarimento del sistema dal quale si potrà uscire soltanto con una radicale inversione di rotta restituendo centralità e dignità alla scuola.
Pio G. Sangiovanni