Premessa “politica”
Suggerii a suo tempo di soprassedere alla prova Invalsi per le classi seconde del secondo ciclo, nonostante la norma lo prevedesse (si veda la Direttiva 74 del 2008), in quanto impegnate a giugno nella certificazione di fine obbligo.
Sarebbe stato più opportuno che l’Invalsi si fosse attivato fin dall’anno scolastico 2007/08, anno di avvio del nuovo obbligo, eventualmente insieme all’Ansas, a sostenere le scuole a fronte di un impegno assolutamente nuovo per il nostro sistema di istruzione. Non è stato così! Anche per l’assoluto silenzio del Miur, indifferente a fronte di un’operazione che, invece, avrebbe dovuto “rivoluzionare” i nostri bienni! Transeat! Così le scuole sono state investite a maggio di un adempimento, come se nulla di nuovo fosse stato loro imposto per il mese di giugno
Poi c’è stata la levata di scudi da parte di una rumorosa minoranza che ha avuto legittime ragioni da vendere: perché sollecitare una scuola al meglio, quando la si umilia giorno dopo giorno tagliando risorse, persone, materie, ore di insegnamento, mascherando il tutto con un preteso e impossibile “riordino”? Prima l’ammazzo… e poi la valuto pure!!! E perché proporre prove che non sempre si sono dimostrate conformi a quanto suggerisce la ricerca docimologica?
Ora finalmente ‘a nuttata è passata! Le prove in larga misura sono state somministrate, ma i problemi rimangono. E, se non si interviene subito, si riproporranno tali e quali con la prossima primavera. Pertanto, si apra un ampio dibattito sull’insieme di queste questioni: a) se l’istruzione è una priorità, come deve essere in una società della conoscenza, allora si investano le risorse necessarie; b) si investa concretamente sugli insegnanti, se si richiedono loro prestazioni di alto profilo; c) si avvii un confronto serio sulla differenza che corre tra la valutazione di sistema e la valutazione svolta dagli insegnanti, per evitare sovrapposizioni o timori di sovrapposizioni; d) l’Invalsi sappia considerare le osservazioni critiche che gli vengono mosse; occorre creare un rapporto fiduciario, anche perché le scuole hanno bisogno di sapere puntualmente quello che fanno e dove, come e perché sia opportuno “aggiustare il tiro”.
Se si vuole evitare l’autoreferenzialità delle scuole, sempre in agguato sotto la copertura dell’autonomia, e la dispersione degli obiettivi di apprendimento, data la genericità delle Indicazioni nazionali e delle Linee guida, occorre che il tiro sia aggiustato e al più presto: che cosa vuole veramente l’Invalsi e che cosa si propone, al di là delle dichiarazioni di principio ostentate nelle sue numerose pubblicazioni?
Argomentazione nel merito della prova – Quando un soggetto ha a che fare con un testo, quindi deve leggerlo e comprenderlo – mi limito a queste due operazioni, non entrando nel merito della interpretazione e/o di ulteriori analisi – ciò che deve fare è riconoscere il significato dei singoli vocaboli (e ciò dipende dalla ricchezza o meno del suo vocabolario “personale”) e comprendere quali legami grammaticali conferiscano loro un particolare significato aggiunto (e ciò dipende dalla ricchezza o meno dei connettivi logici che il soggetto ha acquisito; prescindo dalla inferenza che costituisce una operazione ulteriore). Giorgio è Giorgio, ma il fatto che ami od odi Maria ne arricchisce, in un senso o in un altro, il suo significato primo. Un cacciatore in genere uccide la sua preda ma, se dico/scrivo che “il leone ha sbranato il cacciatore”, il significato primo di cacciatore viene ovviamente modificato: denotazioni e connotazioni giocano un ruolo decisivo al proposito.
Ciò comporta che, quando un soggetto ha a che fare con un testo e, ovviamente, con la sua comprensione “superficiale”, mette in moto operazioni “profonde” (dalla competenza alla esecuzione chomskiana) che sono pur sempre di una certa complessità. In effetti, la strumentazione lessicale e grammaticale che il soggetto adotta nella lettura/ascolto è più o meno ricca a seconda di una serie di variabili più che note, che vanno dal milieu socioculturale di origine al suo modo di interagire con i testi, scritti o letti che siano, fino alle modalità dell’apprendimento scolastico.
Detto questo, è sempre estremamente difficile effettuare operazioni che separino il testo e il suo significato (almeno quello primo, “superficiale”) dalla sua organizzazione linguistica (le parole e i loro legamenti). Ne consegue che, quando vogliamo mettere alla prova la competenza linguistica di un soggetto, è importante verificare se questi sa cogliere i nessi logici che corrono tra una serie di vocaboli di cui, però, conosce i significati primi. Nel periodo “tanto tuonò che piovve”, è evidente che la pioggia è la conseguenza di una serie di avvisi dati dai tuoni, ma non è detto che il soggetto sappia che il “che” è una congiunzione e che il “piovve” è una proposizione subordinata consecutiva. Ed è importante riconoscere le diverse funzioni che un ‘che’ può avere nel discorso: io dico che sta piovendo; ridammi la penna che ti ho prestata… e così via! La stessa cosa vale per “vado a scuola per imparare”: questo è il fine che mi propongo, ma non è detto che sappia di trovarmi di fronte ad una proposizione subordinata finale, per di più implicita! In altri termini, ciascuno di noi ha il cuore e i polmoni, ma non è detto e non è dato che debba conoscere forme e modi del loro funzionamento ai fini del suo vivere quotidiano! E’ il riconoscimento delle funzioni che conta, più che la loro denominazione: il cuore mi batte se corro in salita; e quante volte mi manca l’aria in situazioni di stress!
Il fatto è che, quando entriamo nella logica della grammatica come in genere si insegna a scuola, il rischio di considerare preminente la denominazione della funzione rischia di far perdere di vista la funzione stessa. Se poi la ricerca della competenza grammaticale di un soggetto si effettua utilizzando periodi fini a se stessi, estrapolati da qualsiasi concreto contesto, il rischio di far “vivere” al soggetto tale competenza come mera esercitazione, quindi non utile ai fini di uno sviluppo/crescita effettivo nella competenza linguistica, è molto forte. Tutto ciò mi ricorda le tante puellae che ad Dianae templum rosas portant, con le quali nessuno di noi ha mai imparato a parlare/scrivere in latino! Insomma, posso sapere tutto delle regole grammaticali, ma non per questo essere un buon parlante/scrivente… o ovviamente un buon ascoltatore/lettore.
E allora mi domando: perché nella prova Invalsi la grammatica ha costituito una esercitazione a sé? Per non dire di tutte le frasette inutili e sceme, come quella del postino che arriva proprio quando un certo Paolo è impegnato a cucinare! E’ per questo che suona sempre due volte? Oppure, che l’aria di mare fa bene ai bambini! Penso che in molti si saranno chiesti: e l’aria di montagna no? Una frase isolata dal contesto non aiuta la sua comprensione. Perché chi parla e chi ascolta operano sempre all’interno di un contesto reale! E’ inimmaginabile che due soggetti parlino a vanvera! Il che nella realtà non esiste: infatti, le funzioni fàtiche sono sempre quelle meno rappresentative e significative perché servono solo a tenere in piedi una comunicazione spesso inutile e non finalizzata.
Insomma la grammatica non è un apparato tecnico inventato da qualcuno per tediare i poveri alunni per anni e anni di esercitazioni del tipo scelto dall’Invalsi! E, purtroppo, anche da gran parte della nostra scuola! Insomma, esiste una ricerca/scoperta grammaticale attiva, da condurre sul linguaggio vivo, concreto, quotidiano, ma esiste anche una ricognizione passiva condotta sul linguaggio precodificato delle innumerevoli nostre grammatiche scolastiche. Dove troviamo esercizi a iosa di tante Marie che portano rose in chiesa! Insomma, bisogna insegnare a intercettare non il nome della funzione, ma la funzione stessa: rem tene, verba sequentur, diceva Catone. Nomina sunt consequentia rerum, diceva Giustiniano! Insomma, prima gli oggetti, poi i loro nomi, non il contrario! Invece sul libro di grammatica troviamo un bel capitolo grosso così sul complemento di specificazione! Da non confondere… dioneguardi, con quello di denominazione e chissà con quanti altri! Ed è così, perché c’è l’ora dell’antologia e quella della grammatica! Non c’è l’ora di educazione linguistica! E la prova Invalsi si adegua a certe cattive abitudini di alcuni (tanti o pochi?) insegnanti!
“Eravamo talmente sazi che non abbiamo mangiato il dolce” è un periodo assolutamente comprensibile, anche se non so che la subordinata è una consecutiva. E lo stesso parlante ne produrrà tanti di periodi simili senza averne la contezza grammaticale. E forse sarebbe stato interessante proporre anche un “eravamo talmente sazi, ma non abbiamo affatto rinunciato al dolce”. Insomma, è il “giocare” con le parole che poi conduce a riflessioni sulle funzioni e poi, se si vuole, diamo anche loro un nome! Tali considerazioni implicano che, se vogliamo verificare competenze relative a strutture linguistiche, la formulazione dei quesiti deve andare alla sostanza delle argomentazioni logiche più che alle loro denominazioni scolastiche. In effetti, approcci di questo tipo rischiano di uccidere la grammatica, invece di farla ap/prendere! La grammatica è uno strumento per com/prendere e la sua conoscenza non viene prima del testo, ma nel testo, con il testo! Non sarebbe stato più opportuno e più produttivo da parte dell’Invalsi proporre l’analisi grammaticale sugli stessi testi di cui si è chiesta una compiuta comprensione? E’ necessario che il lettore possegga un contesto preciso e soprattutto significativo, se ne vuole capire strutture e funzioni! In effetti nessuno di noi parla solo per parlare (tranne il bambino che, mentre fa qualcosa, accompagna e sottolinea con le parole ciò che fa: e rafforza contestualmente il fare e il pensare/parlare). E vorrei proprio vedere quanti postini suonano mentre sto cucinando!
Per quanto riguarda i quattro testi della prova, mi chiedo: perché non si è scelto un ordine diverso? Più lineare? Mescolare testi di diversa natura e finalità crea solo confusione nel lettore e, soprattutto, disaffezione: ma che è ‘sta roba? Se lo saranno chiesto in tanti! E perché poi il primo testo è di mezza pagina, con due sole domande, il secondo di due pagine belle toste con l’impiccio del flashback, il terzo e il quarto di una, esclusa la tavola? E perché si sono mescolati quesiti di diversa natura? Item chiusi e item aperti inducono operazioni mentali diverse: un conto è il riconoscimento, altro conto è l’indagine. Mi si potrebbe rispondere che ormai i nostri ragazzi sono più soliti all’ipertestualità che alle operazioni sequenziali. Ma è anche vero che in una prova nazionale è necessario ricercare come e in quale misura si risponde a certe sollecitazioni e come ad altre: il fatto è che risposte date a quesiti di diversa natura finiscono poi nel gran calderone della conta finale: o 1 o zero! Tanto più che a volte l’ipertestuale è sinonimo di pasticcio!
Alcuni quesiti creano ambiguità. Ad esempio nel testo di Morpurgo l’item 2 chiama in causa il “divertimento”, che è uno stato soggettivo del lettore che, ovviamente può divertirsi come sente! Un conto è il quesito “test”, che ha la sua risposta in un contesto dato e acquisito. Un conto è il quesito “reattivo” che sollecita una risposta personale. Di fronte alla stessa minestra (dato oggettivo) Carla si abbuffa e Luisa storce il naso (reazioni soggettive)! E poi due soli quesiti ai fini della comprensione di un testo non sono troppo pochi? Il che dimostra che i testi scelti dall’Invalsi non costituiscono di per sé altrettanti oggetti di comprensione e, se si vuole, di reale analisi del testo, ma in larga misura occasioni per sollecitare quesiti di riconoscimento di significati di singoli vocaboli o di strutture grammaticali. L’Invalsi stesso aveva dichiarato nel suo documento che per la seconda classe degli istituti secondari avrebbe proposto testi letterari e non letterari, espositivi narrativi, descrittivi, conativi e/o argomentativi. Ma i testi proposti costituiscono più un’occasione per passare in rassegna vocaboli e loro significati che per sollecitare operazioni mirate ad una “analisi del testo” che sono altra cosa!
A mio avviso, sarebbe stato opportuno proporre non un insieme sconclusionato di pezzi di varia natura, chiaramente finalizzati a censire un altrettanto insieme sconclusionato di “abilità” linguistiche non coordinate, ma una prova semistrutturata1. In tal caso, si assume una tematica clou, per dare coerenza alla lettura e alla esecuzione delle prove; quindi la si propone e la si svolge con più testi tra loro correlati e di diversa natura, poetico, narrativo, argomentativo, espositivo, misto, tabelle, immagini, ecc., a seconda del tema e delle abilità che ci si propone di verificare; ciascun testo è seguito da una prova intermedia (un insieme di quesiti chiusi e aperti, sollecitazioni a riflettere, seguite dalle cosiddette risposte criterio note al correttore) e il tutto da una prova finale. Una prova di questo tipo non è un pout pourri di… strane stravaganze che sembrano fatte apposta per tediare sia gli studenti che i correttori, ma un insieme organizzato di informazioni su un dato oggetto, su cui è più facile e più accattivante “lavorare” ai fini di una comprensione che ha la sua giustificazione nell’unitarietà della tematica. Mi spiego meglio: che cosa ha appreso di nuovo il nostro studente dopo la prova Invalsi? Poco o nulla, che è pure costato 90 minuti di fatica! La prova semistrutturata, invece, ha il vantaggio di offrire una certa appetibilità, perché “si imparano” comunque cose nuove.
Concludendo, mi sembra che la prova sia stata tarata su un modello di soggetto/alunno che legge/comprende con una certa velocità. Penso ai 90 minuti concessi: quanti minuti saranno occorsi al nostro Gianni di Don Lorenzo per leggere Sulle nevi di gennaio? Dove diavolo sono Vezzena e Marcesina? Per non dire di Kaberlaba che neanch’io so cos’è! E quali induzioni deve fare per legare la steppa e le isbe alla Russia? Per non dire dell’intenzione dell’autore (quesito B7)! Può dar luogo a una risposta chiusa? Potremmo chiederlo a Mario Rigoni Stern, se non ci avesse lasciati tre anni fa!
So per esperienza che produrre un test non è affatto una operazione semplice! Le insidie assediano il testista da ogni parte e, se lo strumento non viene convenientemente pretestato, si presta sempre a mille trabocchetti! Il fatto è che il limite dell’oggettività è molto stretto ed è proprio per questo che il test, che di fatto è uno strumento in sé “povero” per le conoscenze che vuole censire, si dimostra molto ricco nella misura in cui, invece, è ben fatto. E voglio aggiungere: quanti insegnanti che disprezzano i test, non sottopongono poi i loro alunni a diluvi di domande test? Quand’è scoppiata la prima guerra mondiale? Chi ha scritto All’amica risanata? Qual è la formula chimica dell’acido solforico? Quesiti legittimi, ma allora perché non riconoscere che il test, pur se in forma orale, è sempre presente nella nostra scuola? E a volte anche come gratuitissimo quiz?
Concludendo, occorre sottolineare che nella scuola valutare, soprattutto in fatto di comprensione e produzione linguistica, è sempre molto problematico. E lo è ancora di più, se pensiamo all’incremento esponenziale delle operazioni di transcodifica: il passaggio da un codice a un altro, dall’immagine al testo e viceversa, con tutte le sollecitazioni dei rumori e dei suoni… l’apporto delle Tic nelle sue più svariate forme, dai cellulari avanzati ai social network sempre più affollati, ai videogiochi e alle stesse lim! E valutare a livello di sistema è ancora più problematico, soprattutto se non sono chiari i ruoli diversi e le finalità diverse della scuola e di un istituto di ricerca. Sono tutte questioni che né il Miur né l’Invalsi sono stati capaci di affrontare e di risolvere e… tanto meno di far comprendere. Ne è la prova la ribellione che si è verificata. Di qui una sfida: riusciranno i… nostri eroi dell’Amministrazione e dell’Invalsi a ricucire i mille strappi che hanno provocato? La prima dovrebbe smettere di umiliare la scuola e sciogliere i cordoni della borsa, il secondo comprendere bene qual è il suo ruolo, sottolineare una sua indipendenza culturale dal Miur e predisporre prove che non prestino il fianco a critiche di sorta!
Roma, 17 maggio 2011
Maurizio Tiriticco
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1La letteratura è ricca. Comunque, si veda Prove strutturate e semistrutturate di verifica finale dell’apprendimento per il biennio della scuola secondaria superiore, a cura di G. Italiano, G. Domenici, M. Tiriticco, M. Semeraro Jacotti, A. Quagliata, G. Moretti et al., Monolite, Roma, 1997. Sono sei quaderni: uno di introduzione teorica e gli altri contenenti prove di italiano, matematica, inglese, biologia e scienze della terra, diritto e economia, tutte elaborate da docenti delle rispettive materie in un corso “disteso” di aggiornamento… quando i soldi c’erano e gli insegnanti non erano insultati dai loro ministri!