di Redazione.
Riconosciuta un’indennità per il lavoratore che abbia subito un danno a causa dell’abuso di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, che potrà variare tra un minimo di 4 e un massimo di 24 mensilità, calcolata sulla base dell’ultima retribuzione percepita.
Nei giorni scorsi è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il Decreto-Legge 16 settembre 2024, n. 131 contenente “Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi derivanti da atti dell’Unione europea e da procedure di infrazione e pre-infrazione pendenti nei confronti dello Stato italiano”. In particolare l’art. 12 introduce modifiche all’articolo 36 del decreto legislativo 30 marzo 200 n.165, in materia di disciplina della responsabilità risarcitoria per l’abuso di utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato – Procedura d’infrazione n. 2014/4231.
Ecco, in particolare il nuovo testo che sostituisce il terzo, il quarto e il quinto periodo del suddetto articolo: «Nella specifica ipotesi di danno conseguente all’abuso nell’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, fatta salva la facoltà per il lavoratore di provare il maggior danno, il giudice stabilisce un’indennità nella misura compresa tra un minimo di quattro e un massimo di ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, avuto riguardo alla gravità della violazione anche in rapporto al numero dei contratti in successione intervenuti tra le parti e alla durata complessiva del rapporto».
Esso, quindi, riconosce un’indennità per il lavoratore che abbia subito un danno a causa dell’abuso di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, che potrà variare, proporzionalmente alla gravità della violazione, tra un minimo di 4 e un massimo di 24 mensilità calcolata sulla base dell’ultima retribuzione percepita. La novità è che viene raddoppiato il limite massimo di indennità che nel precedente articolato era di 12 mensilità confermando, tuttavia, la parte del comma 5 dell’articolo citato, che afferma che la violazione delle norme riguardanti l’assunzione o l’impiego nel settore pubblico non comporta l’automatica creazione di un rapporto a tempo indeterminato.
Da notare, inoltre, che la normativa precedente non conteneva alcuna indicazione in ordine ai criteri da seguire per quantificare gli indennizzi e prevedeva soltanto un generico obbligo per le amministrazioni di recuperare le somme pagate, agendo nei confronti dei dirigenti responsabili, qualora si fosse accertato dolo o colpa grave nel loro comportamento.
Sarà adesso il giudice a fissare l’indennità a favore del lavoratore precario, compresi eventuali ulteriori danni, anche morali, che lo stesso riuscirà a dimostrare di aver subito.
Sicuramente l’intervento dell’Unione europea ha giocato un ruolo cruciale per giungere agli esiti attuali, infatti, dopo l’apertura della procedura d’infrazione nel luglio 2019 e dicembre 2020 che aveva messo in mora le autorità italiane, ad aprile 2023 con un articolato parere la Commissione europea aveva contestato allo Stato italiano il non corretto recepimento della direttiva 1999/70/CE del Consiglio, che vieta discriminazioni a danno dei lavoratori a tempo determinato, e obbliga gli Stati membri ad adottare misure atte a prevenire e sanzionare l’utilizzo abusivo di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato.
«Alcuni di questi lavoratori – chiarisce in particolare la Commissione – hanno anche condizioni di lavoro meno favorevoli rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato, situazione che costituisce una discriminazione e contravviene al diritto dell’Unione».
Secondo la Commissione europea sono numerose le categorie di lavoratori a rischio precarietà nella pubblica amministrazione: insegnanti; personale ATA; operativi del settore sanitario; lavoratori nel settore artistico, musicale e coreutico; personale degli enti di ricerca pubblici; forestali e volontari del corpo nazionale dei vigili del fuoco.