Dopo i proclami di una manovra finanziaria di “lacrime e sangue” ci si aspettava che a pagare almeno questa volta fossero anche coloro finora solo marginalmente sfiorati dai cosiddetti provvedimenti di contenimento della spesa. Una speranza che è stata presto delusa.
A sopportare gli oneri della manovra finanziaria straordinaria non è la casta della politica che in questi anni ha accresciuto i centri di spesa e moltiplicato in maniera esponenziale emolumenti e privilegi, inimmaginabili anche alle aristocrazie che affollavano le corti della vecchia Europa; non sono le cosiddette classi sociali abbienti, quelle che potrebbero, in ragione dei loro cospicui redditi, dare finalmente un sostanziale contributo ai conti dello Stato; non sono neanche coloro che, pur lavorando nel pubblico impiego, percepiscono stipendi a sei cifre. Essi godranno, invece, di una franchigia (90.000 euro) che li esclude, fino a tale importo, da ogni penalizzazione. Un miserabile salvacondotto che è il segno più evidente della profonda iniquità che pervade ogni aspetto di questa manovra.
Il Nostro novello Robin Hood, arroccato al ministero dell’Economia, avrà pensato che in tempi in cui il significato di antiche certezze sta profondamente cambiando, mutatis mutandis, anche il motto del mitico eroe popolare inglese debba essere reinterpretato, reso più moderno, cioè rovesciato. Dimenticando, forse, che la nostra Costituzione all’art. 53 recita “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”. Si tratta di un principio fondamentale del nostro ordinamento tributario, che rappresenta non solo un criterio di misurazione del prelievo di ricchezza, ma anche il presupposto di legittimità dell’imposizione tributaria che si collega strettamente al principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione. Per cui le prestazioni tributarie devono gravare in modo uniforme su soggetti che dispongono della stessa capacità contributiva e in modo differente (criterio della progressività) su soggetti che dispongono di capacità diverse. Detto in altri termini, le tasse rispondono a una logica politica di redistribuzione degli oneri necessari al funzionamento dello Stato con significato e valenza universale. Il principio di far pagare a tutti secondo il criterio della progressività è una delle più grandi conquiste delle moderne democrazie, già sostenuto sia dalla Rivoluzione inglese che da quella francese. Anzi, giova ricordare che uno dei fattori che contribuì allo scoppio della Rivoluzione francese fu proprio l’imposizione fiscale che gravava esclusivamente sul popolo, mentre esentava nobili e clero. Ciò detto, se ne deduce che non ci può essere giustizia sociale se non c’è una corretta perequazione delle imposte e degli altri prelievi fiscali, qualunque ne sia la natura.
Ma il Nostro, in forza della sua reinterpretazione del “togliere ai ricchi per dare ai poveri”, scarica sulle classi sociali più deboli il peso di un’operazione finanziaria che produrrà effetti devastanti anche sulle progressioni di carriera, sulle pensioni e sulle liquidazioni.
La scuola, anche in questa manovra, è considerata il settore cui attingere a piene mani, incuranti degli effetti devastanti che questo potrà produrre. Così, mentre ancora non si sono dispiegati tutti gli effetti delle misure (previste dall’art. 64, della legge 133 del 2008) che porteranno, entro il 2012, ad un taglio di risorse di circa 8 miliardi di euro e di quasi 132.000 posti di insegnanti e di personale ATA, alla scuola vengono imposti tagli alle retribuzioni del personale che non hanno precedenti.
Da una prima lettura del testo del decreto legge n. 78, della relazione illustrativa e di quella tecnica presentati al Senato, si evince che docenti e personale amministrativo vengono colpiti dalla manovra su tre fronti: blocco del contratto collettivo nazionale, congelamento degli scatti di anzianità e su più aspetti le indennità di buonuscita.
In particolare, l’art. 9, comma 23, testualmente recita: “Per il personale docente, Amministrativo, Tecnico ed Ausiliario (A.T.A.) della Scuola, gli anni 2010, 2011 e 2012 non sono utili ai fini della maturazione delle posizioni stipendiali e dei relativi incrementi economici previsti dalle disposizioni contrattuali vigenti”. Il blocco degli scatti, come è evidente, colpisce tutti e non solo quelli che nel triennio hanno maturato lo scatto di anzianità. Un taglio che in nessun modo sarà recuperato negli anni successivi. Di fatto, sarà allungato il tempo per poter progredire da una fascia stipendiale ad un’altra, con effetti anche sulle retribuzioni successive, che saranno sempre decurtate degli importi che, in assenza della manovra, si sarebbero percepiti. Lo slittamento in avanti della progressione economica va, inoltre, a determinare una perdita definitiva del potere d’acquisto degli stipendi per tutto il resto della carriera con effetti anche sul versante previdenziale. In media, si stima che il personale della scuola subirà, da quest’anno fino alla fine della carriera, un taglio complessivo, a persona, di circa 30 mila. Una cifra insopportabile, considerato che stiamo parlando di stipendi tra i più bassi nell’UE e nei Paesi dell’Ocse. Ad esempio, nel solo triennio 2010-2012, un docente di scuola superiore, con 20 anni di servizio, perderà quasi 9.000 euro.
Francamente non si comprende perché il personale della scuola debba essere cosi fortemente discriminato rispetto ad altre categorie del pubblico impiego.
Cosa deve pensare un insegnante che percepisce uno stipendio medio di 1.300 euro al mese, nel leggere l’art. 9, comma 22, che ad alcune categorie (magistrati, avvocati e procuratori dello Stato), allo scadere del periodo triennale, riconosce “il corrispondente valore economico maturato” e che “Il periodo di trentasei mesi differito è utile” anche per la maturazione delle successive classi di stipendio e aumenti biennali? E ancora, per coloro che in tale periodo cessano dal servizio “con la medesima decorrenza si procede a rideterminare il trattamento di pensione, considerando a tal fine anche il valore economico della classe di stipendio o dell’aumento biennale maturato”?
Cosa deve pensare nell’apprendere che i dirigenti scolastici, il cui stipendio medio è quasi il doppio di quello di un docente, con il recente rinnovo del contratto riceveranno un incremento complessivo medio mensile di circa 370 euro lordi, per di più quasi tutti concentrati nella parte retributiva fissa e con somme minimali nella retribuzione di risultato?
Cosa deve pensare nell’apprendere che l’Italia detiene il primato mondiale delle “auto blu” (oltre 600 mila, contro le 73 mila degli Stati Uniti, le 55 mila della Gran Bretagna e le 54 mila della Germania) per le quali spende circa 8 miliardi di euro all’anno, l’equivalente che è stato sottratto alla spesa per l’istruzione dalla legge 133/2008?
E, ancora, cosa deve pensare mentre si impone ai cittadini più deboli una manovra di “lacrime e sangue” nell’apprendere che l’Italia si appresterebbe ad acquistare velivoli militari per un importo di 29 miliardi di euro, cinque in più della manovra?
Forse si consolerà nell’apprendere che comunque si trova al vertice di una classifica (quella dei tagli), con quasi il 15%, mentre i sottosegretari si attestano al 6%, i capi dipartimento al 5,6% e, assai distanti, i dirigenti ministeriali posizionati al 2,5%? O che il Nostro, qualora dovesse confermare il reddito imponibile dichiarato nel 2008 (sotto i 40 mila euro) forse non scucirà neanche un centesimo di euro? O che il ministro della funzione pubblica Brunetta, che tra indennità e stipendio da parlamentare e da ministro percepisce annualmente 257 mila euro (211 mila da deputato e 46 mila da ministro), sopporterebbe un sacrificio di circa 13 mila euro?
La pazienza finora dimostrata dal mondo della scuola, al quale è stato imposto di tutto, con la complicità di un sindacato consociativo che ha visto nella scuola solo un terreno ove moltiplicare tessere e distacchi, non può essere infinita. Certo ci piacerebbe seguire il vecchio proverbio cinese, sederci sulla riva del fiume ed ancora aspettare, come pare faccia l’opposizione che al governo è stata incapace di definire una riforma strutturale del nostro sistema educativo e oggi non esprime che qualche flebile lamento. Ma per la scuola, ormai, non è più il tempo di philosophare quam vivere.
Francesco Greco