di Francesco Greco
Presidente dell’Associazione Nazionale Docenti
Lo scenario che apre questo terzo anno del secolo si caratterizza per la presenza di tre fattori, ognuno dei quali entra con il suo peso specifico in quella che sarà la situazione dei docenti nei prossimi anni, la condizione del loro lavoro, la prospettiva per chi deciderà di entrare nel mondo della scuola e intenderà farlo nella veste di docente:
1) la riforma della Costituzione;
2) la riforma della scuola
3) il rinnovo del contratto.
1) sulla Riforma del Titolo V della Carta Costituzionale, abbiamo aperto l’anno scolastico con un importante convegno nazionale tenuto nella sede del Consiglio della Regione Lombardia. Abbiamo inteso svolgerlo in quella Regione, in quel preciso luogo istituzionale, perché ben sappiamo che lì sono più forti le spinte al regionalismo, lì è più accesso il dibattito sulla prospettiva federale del nostro Paese, per avere un confronto diretto con i protagonisti di questo dibattito, con i sostenitori di questa prospettiva.
Come è noto, la riforma del Titolo V è avvenuta con la legge Costituzionale n.3 del 2001. Tale norma, oltre ad aver dato ai Comuni, alle Province, alle Regioni e alle città metropolitane una soggettività originaria –tanto che esse insieme allo Stato costituiscono la Repubblica, art.114 Cost.- ha modificato il quadro di riparto delle competenze tra lo Stato e le Regioni. Mentre nel vecchio art.117, le competenze legislative regionali erano puntualmente elencate e dovevano essere esercitate all’interno delle cosiddette “leggi cornice”, nella “nuova” Costituzione ad essere puntualmente elencate sono le competenze legislative dello Stato, mentre tutto ciò che allo Stato non è attribuito è di competenza legislativa delle Regioni.
Allo Stato, per quanto riguarda l’istruzione, spetta una competenza legislativa esclusiva a:
– dettare le norme generali sull’istruzione;
– determinare i livelli essenziali delle prestazioni;
stabilire i principi fondamentali che la legislazione regionale deve osservare nella materia dell’istruzione.
Alle Regioni spetta: una legislazione esclusiva in materia di istruzione e formazione professionale;
una legislazione concorrente in materia di istruzione, nell’ambito dei principi stabiliti dalla legge dello Stato.
Questo è il quadro delle competenze tra Regioni e Stato in materia d’istruzione, ma sappiamo che presto la situazione cambierà ulteriormente con l’approvazione della proposta di riforma costituzionale avanzata dalla Lega e già approvata al Senato, la cosiddetta devolution, la quale non fa altro che introdurre un ulteriore comma all’art.117, che attribuisce una competenza esclusiva alle Regioni su:
– assistenza e organizzazione sanitaria;
– organizzazione scolastica e gestione degli istituti scolastici e di formazione;
– definizione della parte dei programmi scolastici e formativi di interesse della Regione (collegandosi così all’art. 2, c. 1, lettera l della legge delega di riforma della scuola);
– polizia locale.
Fermo restando che già nella Costituzione vigente -quale risulta dalla riforma del Titolo V, art. 116- è prevista la possibilità di dar luogo a un regionalismo differenziato (possono essere attribuite alle singole Regioni, su loro iniziativa, con legge dello Stato, da approvare a maggioranza assoluta, ulteriori poteri sulle materie indicate dal comma 3 dell’art. 117, tra cui sappiamo esservi l’istruzione) la devolution, a ben vedere, non abroga alcun articolo e altro non fa che attribuire una competenza esclusiva su alcune materie specificamente indicate. Ma sappiamo che non tutte le Regioni saranno in grado di farsi carico di questa ulteriore competenza, essendone l’esercizio effettivo subordinato alla possibilità di poterlo sostenere amministrativamente e finanziariamente. Per cui, com’è facilmente prevedibile, ci saranno Regioni che da subito attiveranno le nuove competenze, altre che non potranno farlo. E, per quanto riguarda l’istruzione, avremo scuole che saranno sostenute finanziariamente e altre no.
Oltre questo aspetto, occorre precisare che alle Regioni si attribuisce una competenza esclusiva in materia di organizzazione e di gestione degli istituti scolastici; le Regioni hanno già competenze in materia di istruzione che derivano loro dal DPR 233/98 e dal D.lgs. 112/98. L’attribuzione di questa specifica competenza lascia quindi intravedere una volontà di voler ridisegnare i rapporti tra l’Ente Regione e l’organizzazione scolastica regionale; lascia prevedere una volontà di voler stabilire un più diretto e pregnante intervento del potere politico regionale sui diversi nodi dell’organizzazione scolastica. Le regioni avranno, appunto, competenza nella gestione degli istituti scolastici e quindi è prevedibile che vorranno intervenire e interverranno, una volta che il quadro normativo sarà completato, anche sui gangli più delicati dell’organizzazione scolastica, come la preposizione dei dirigenti alle singole istituzioni scolastiche e il reclutamento dei docenti.
Comunque sia, è ragionevolmente prevedibile che l’attuale assetto dell’organizzazione scolastica in alcune Regioni sarà profondamente rivisto; allora si tratterà di vedere come avverrà e in quale quadro di garanzie: quale quadro di garanzie per la qualità dell’istruzione; quale quadro di garanzie del fare scuola. Come verrà garantito il diritto all’istruzione per le giovani generazioni e come verrà garantita la nostra professione. Su tutto questo, come associazione professionale, diremo la nostra e interverremo nei modi che riterremo più opportuni.
Altro aspetto, da sottolineare, è l’attribuzione della competenza a definire una parte dei curricoli alle Regioni. Si, è vero, spetta al potere politico definire i curricoli, essendo l’istruzione un servizio primario per la Repubblica. C’è da chiedersi, tuttavia, quale potrà essere il contributo delle scuole autonome. Il rischio evidente è che l’autonomia, pur avendo ricevuto, con la riforma del Titolo V, una copertura costituzionale, si trasformi in altro, in un’autonomia di tipo organizzativo.
2) un secondo fattore da considerare è la legge con cui si delega il Governo a definire le norme generali sull’istruzione. Questo provvedimento che sarà la base su cui il Governo definirà il quadro dell’istruzione in Italia e che investe la scuola nella sua complessità, per i docenti si limita a trattare solo l’aspetto che riguarda la formazione, tutta racchiusa nell’art. 5. Beninteso, la formazione è importante, cruciale, ma certamente è inaccettabile che la riforma dell’ordinamento scolastico lasci cosi tristemente in ombra quella che è una figura chiave del sistema: il docente e il suo stato giuridico. Tutte le grandi riforme della scuola che si sono succedute in questi 150 anni di Stato unitario, dalla legge Casati, alla riforma Gentile, alla riforma degli Organi collegiali, non hanno potuto fare a meno di intervenire sullo stato giuridico dei docenti. Proprio perché, l’intervento sull’architettura ordinamentale del sistema non può tralasciare di rivisitarne il ruolo e il quadro delle nuove funzioni che il docente sarà chiamato a svolgere. Non averlo fatto significa negare quello che la ricerca valutativa sulla qualità della scuola ha indicato come uno dei fattori cruciali, vale a dire che la qualità della scuola si fonda anche e soprattutto sulla qualità dei docenti e della loro funzione.
Chiedersi perché la riforma dello stato giuridico non è contemplata nella riforma della scuola non è quindi una domanda accademica né tanto meno oziosa. Noi abbiamo fatto quanto potuto perché vi entrasse, la bozza dell’emendamento era pronta. Però, qualcuno è intervenuto e ha dato lo stop. Lo stop è stato di tipo politico ma su pressione sindacale. Ancora un fatto grave e inaccettabile, che non ha riscontri in altri Paesi europei: in Italia, in nome di bassi interessi di bottega, c’è qualcuno che in questi anni altro non fa che porre veti, evidenziando ancor di più la propria incapacità propositiva: prima sull’area contrattuale separata, benché vi sia una legge, la 59/97, che espressamente lo preveda e che è stata applicata per i dirigenti e non per i docenti; oggi sulla riforma dello stato giuridico. Di conseguenza, l’emendamento è stato trasformato in un ordine del giorno e approvato dalla Camera. Anche su questo l’AND continuerà nel suo impegno, affinché ai docenti venga riconosciuto un nuovo stato giuridico che ne esalti la professionalità.
3) terzo fattore, il rinnovo contrattuale. A quanto pare, più che di rinnovo, dalle bozze che circolano sembra che a cambiare sia solo la data e l’apposizione di nuovi steccati, gravemente lesivi della democrazia nelle scuole. E sì, questo contratto che avrebbe dovuto essere un contratto di svolta, che avrebbe dovuto tener conto di quanto è avvenuto in questi ultimi anni: riforma della Costituzione, messa a regime dell’autonomia, etc.; che avrebbe dovuto trarre un bilancio del fallimento di alcuni istituti contrattuali proposti, vedasi funzioni obiettivo, rsu, e quant’altro, innova solo in senso restrittivo stabilendo norme più limitative sul diritto di assemblea, mettendo i docenti sotto tutela, impedendo il libero confronto e, quindi, il formarsi di opinioni più consapevoli. Davvero uno strano concetto di democrazia regna nelle menti argute di chi ha come sola preoccupazione la conservazione dello status quo, il mantenimento di posizioni di privilegio che gli derivano da norme che loro stessi si sono date.
Detto questo, le ipotesi di contratto eludono il problema della prospettiva professionale per i docenti, prevedendo la costituzione di una commissione, l’ennesima, per individuare ipotesi di carriera professionale per i docenti, già a partire dal quadriennio 2002-2005.
Questo è, in sintesi, il quadro di contesto. Un contesto in cui lo stato giuridico dei docenti, alla luce della contrattualizzazione del rapporto di lavoro, dell’attribuzione dell’autonomia alle scuole, della riforma della Costituzione, della riforma della scuola, si presenta ormai vecchio, prossimo ai trent’anni, e mostra tutta la sua inadeguatezza. Alla Camera è stato approvato un ordine del giorno per la sua riforma, speriamo che il Governo intenda darvi un seguito, com’è nei nostri auspici.
* Estratto dall’intervento conclusivo dei lavori dell’Incontro Seminariale Professione docente: verso un nuovo stato giuridico?, Cosenza il 25 febbraio 2003, Sala Convegni dell’Assindustria di Cosenza