di Redazione
Si è tenuta oggi, 22 novembre 2021, in conference call, presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, la riunione per esperire il tentativo di conciliazione, di cui all’art. 1, comma 4, della legge n. 83/1990, in materia di esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali.
All’incontro hanno partecipato i rappresentanti del MIUR, Floriana Malacrino e Raffaella Speziale i rappresentanti dell’Associazione Nazionale Docenti, Francesco Greco, Pio Sangiovanni e Marina Castelli e del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, Maria Cristina Gregori.
L’incontro era stato chiesto dall’Associazione Nazionale Docenti, motivato dalla mancata valorizzazione della professionalità docente e dall’inadeguatezza delle risorse messe a disposizione dal Governo per gli aumenti retributivi. Il confronto sulle questioni sollevate dai rappresentanti dall’Associazione Nazionale Docenti si è concluso senza addivenire ad una intesa. Per cui, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, sentite le Parti, ha preso atto dell’impossibilità di pervenire a una soluzione conciliativa.
“Purtroppo – ha dichiarato il Prof. Francesco Greco, presidente dell’Associazione Nazionale Docenti– le nostre richieste non sono state accolte, si è sprecata un’occasione storica, determinata dalla crisi generata dalla pandemia e dalla grande mole di risorse messe a disposizione del nostro Paese, per ridare dignità ad una professione che da troppi anni subisce provvedimenti deleteri che ne hanno annichilito ruolo e funzione.”
“A nulla sono valsi i risultati delle indagini internazionali e i richiami delle istituzioni europee -ha proseguito il Prof. Greco-, anzi nella legge di bilancio sono state introdotte norme di una gravità inaudita, mortificanti e vessatorie per i docenti, oltreché del tutto non pertinenti con l’atto legislativo che, al contrario, dovrebbe indicare solo le risorse finanziarie disponibili per il prossimo anno. Ci si chiede quale sia il merito ed il senso delle frasi inserite nella legge di bilancio “premiando in modo particolare la dedizione nell’insegnamento, l’impegno nella promozione della comunità scolastica e la cura nell’aggiornamento professionale continuo”? È ovvio che la domanda è retorica, ma non la risposta. Infatti, chi dovrebbe “apprezzare” “la dedizione nell’insegnamento” e in funzione di questa elargire il “premio”? Chi se non i dirigenti scolastici? Ed allora dipanato l’enigma, questa frase, ma anche le altre, assume ben altro significato e valenza. Infatti, codificata questa frase in norma, il “premio” dipenderà dalla capacità di ogni singolo docente di genuflettersi al passaggio del Re, alias il dirigente scolastico. Ritorna, così, in modo ancor più subdolo, quanto si voleva introdurre con la “chiamata diretta”, una sorta di giuramento di fedeltà e di obbedienza, come facevano Re e Principi nel medioevo, quando iniziarono a premiare i cavalieri più fedeli e servili per legarli ancor di più a loro tramite un giuramento di obbedienza. Per cui, obtorto collo, faremo sentire chiara e forte la nostra protesta, nei modi e nei termini che la legge ancora ci consente!”